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21-XXVIIIa Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

XXVIIIa Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

Lc. 17, 11-19

Gratitudine

Il messaggio di questa liturgia, centrata sull’episodio dei dieci lebbrosi guariti, è molto chiaro, ma non è semplice, perché noi facilmente cadiamo in due errori estremi nell'interpretare il nostro rapporto con Dio e quindi il nostro dovere di gratitudine.
I due errori possono essere così delineati.
Il primo è quello di pensare che il nostro ringraziamento a Dio, la nostra gratitudine per Lui, riguardi il dono iniziale, il fatto che siamo venuti al mondo, il fatto che il Tutto, che la perfezione completa, si è espressa in forma creata, per cui noi esistiamo. C'è una bella preghiera che dice: "Ti ringraziamo perché ci hai creato". Ad essere esatti dovremmo dire: "Perché veniamo creati continuamente", dato che l'azione di Dio continuamente alimenta e continuamente dobbiamo riconoscere la sua presenza e accogliere il suo dono. La gratitudine non è poi un atto successivo alla nostra accoglienza, sta proprio nell'accogliere il dono che ci rende viventi. Questa è la gloria Sua: che noi diventiamo viventi accogliendo il suo dono.
Un secondo errore è quello di interpretare l'azione di Dio nei nostri confronti come un'azione che non passa attraverso le creature, quindi come un’azione immediata, perfetta. Invece l'azione di Dio ci perviene sempre in modo inadeguato e imperfetto, perché passa attraverso le strutture create, nostre e degli altri. Se teniamo presente tutto questo evitiamo l'errore di attribuire a Dio tutto ciò che avviene nella nostra vita; perché non è vero che tutto ciò che accade nella nostra vita corrisponde al volere di Dio: molte cose sono contro il volere di Dio, eppure ci accadono.

L'atteggiamento di gratitudine deve avere quindi delle motivazioni molto chiare, che nascono da un'esperienza di fede che adesso cerco di delineare. Credo infatti che l’attitudine di ascolto-accoglienza nella gratitudine sia la struttura fondamentale della vita spirituale cristiana. Dico ‘ascolto-accoglienza’ perché le analogie che noi utilizziamo per parlare dell'influsso che Dio esercita nei nostri confronti sono due, la Parola e lo Spirito: e quindi ascolto in rapporto alla Parola e accoglienza in rapporto all'azione dello Spirito.
L'attitudine fondamentale della nostra vita dovrebbe essere appunto questo ascolto-accoglienza di quella energia vitale, di quella forza Spirituale, di quella Parola creatrice che continuamente risuona nella nostra esistenza e che ci conduce a quell'identità filiale che è il traguardo di tutto il nostro cammino.

Per capire bene questo atteggiamento fondamentale dell'esistenza cristiana, cioè l’atteggiamento di gratitudine, vorrei indicarne le dinamiche fondamentali. Così, io credo, comprenderemo che cosa vuol dire 'rendere gloria a Dio', come dice Gesù.

Non c'è bisogno di chiarire i particolari di questo episodio: voglio solo sottolineare che Gesù manda i lebbrosi ai sacerdoti perché questi avevano l'ufficio di certificare la guarigione. I lebbrosi allora erano infatti un pericolo sociale, quindi non potevano stare con tutti gli altri; e quando guarivano e rientravano nella società, e quindi nella famiglia, la guarigione doveva essere certificata, e veniva certificata appunto dai sacerdoti.

Luca dice che il lebbroso guarito ritorna "lodando Dio ad alta voce". Quindi c'è un atteggiamento religioso, che è importante per capire bene anche la reazione di Gesù, perché Gesù dice: "Solo questo è tornato a rendere gloria a Dio". Non dice: "a ringraziarmi", perché Gesù viveva questa consapevolezza che tutto ciò che faceva era espressione dell'azione del Padre in lui. Quindi ciò che Gesù sottolinea in questo samaritano è che è capace di rendere gloria a Dio: veniva appunto 'lodando Dio'.
La domanda perciò che ci dobbiamo fare oggi è se noi siamo capaci di rendere gloria a Dio, se abbiamo questo atteggiamento di gratitudine; che potremmo anche chiamare, in termini cristiani, l'atteggiamento eucaristico. Perché l'Eucarestia è appunto 'rendere grazie, rendere gloria a Dio’.

La forza di vita non è da noi, ma ci viene donata da Dio.

Cosa significa allora 'rendere gloria a Dio'? Significa manifestare nella nostra esistenza la sua azione salvatrice, cioè il bene che Egli riversa in noi, la verità che Egli fa risplendere nella nostra vita, la giustizia che riesce a realizzare attraverso le nostre azioni, i nostri desideri, le tensioni profonde che avvertiamo. Significa non porre resistenza alla sua azione in noi, o alla sua grazia in noi. Tenendo sempre presenti i limiti e le insufficienze delle strutture create nostre e degli altri, attraverso le quali la sua azione ci perviene. Per cui non dobbiamo mai considerare definitivo il suo dono: è sempre un piccolo frammento, limitato, appunto, dalla nostra capacità di accoglienza e anche dalla capacità di offerta di coloro che ci stanno accanto. Ma riconoscere il dono è essenziale, cioè riconoscere che la forza di vita per cui noi possiamo pervenire al traguardo della nostra identità filiale, possiamo camminare nella storia, possiamo vivere tutte le situazioni in modo positivo, non è da noi, non è dalle creature, ma è più grande e viene dall'azione creatrice di Dio e dal suo amore.

Questo è il primo dato fondamentale: vivere in questa consapevolezza. Io direi che la vita spirituale cristiana non si sviluppa, non c'è, finché non c'è almeno un minimo di questa consapevolezza. Non è che continuamente deve essere presente in noi perché tante cose ci distraggono, ma almeno dobbiamo avere dei momenti in cui viviamo consapevolmente questa nostra condizione: la forza di vita che ci perviene è da Dio. In tutte le sue forme: di perfezione, di verità, di amore, di misericordia. Tutto quello che nella nostra vita può esprimersi di positivo viene dalla forza creatrice di Dio. E l'accoglienza nostra è la condizione perché si esprima in noi. Se infatti non abbiamo questa consapevolezza non accogliamo, cioè non sviluppiamo l'attitudine all'ascolto-accoglienza, perché ci riteniamo noi capaci di fare queste cose, ci riteniamo noi il soggetto. Oppure riteniamo che gli altri che ci stanno accanto siano la fonte di questo, e allora poggiamo tutta la nostra fiducia su di loro e ne facciamo degli idoli.
Dobbiamo invece imparare a vivere questa consapevolezza che tutto ciò che si esprime in noi ci perviene come dono di vita, ha la fonte l'azione creatrice di Dio. Ma non solo all'inizio della creazione: ora, in questo momento è la Sua azione che ci perviene. Ripeto: limitata, imperfetta, perché le strutture di accoglienza e le strutture di offerta sono imperfette, ma la fonte è Dio.

L’accoglienza del dono è gratitudine.

Quando sviluppiamo questa consapevolezza, necessariamente in noi fiorisce l'attitudine eucaristica, cioè il ringraziamento.
Il ringraziamento non è un atto distinto dall'accoglienza: è proprio l'accoglienza che è gratitudine: cioè nel momento in cui ci mettiamo in ascolto-accoglienza esprimiamo la nostra gratitudine. Non sono atti successivi. Certo, noi poi possiamo raccoglierci qui e ringraziare Dio, ma è un esprimere in parole e in gesti ciò che abbiamo già vissuto. Noi lo viviamo, l'atteggiamento di gratitudine, l'atteggiamento di gloria a Dio, nel momento in cui accogliamo il suo dono. Quello è il momento in cui rendiamo gloria a Dio: il momento in cui lo accogliamo e quindi lo esprimiamo nella nostra vita.
Una piccola conseguenza molto concreta: la nostra Eucarestia può essere falsa se non esprime ciò che abbiamo vissuto: se non abbiamo vissuto la gratitudine, se non abbiamo reso gloria a Dio nella nostra vita. Può avere un certo significato se partiamo dalla consapevolezza del nostro peccato e diciamo: "Ecco, non abbiamo riconosciuto il tuo dono, non ti abbiamo reso gloria, ora vogliamo esercitarci per imparare a farlo". E quindi l'Eucarestia ha la sua funzione penitenziale e medicinale, cioè ci allena perché tornando a casa, incontrando gli amici, impariamo a rendere gloria a Dio. Quindi l'Eucarestia ha questa duplice funzione: non è solo espressione della fede che abbiamo vissuto, ma è anche allenamento per poterla vivere, quindi ha una funzione medicinale e penitenziale.

Gratitudine nelle situazioni negative.

Il secondo aspetto fondamentale riguarda le situazioni negative della nostra vita: come possiamo esprimere gratitudine a Dio se abbiamo malattie, se abbiamo insufficienze dei beni, se le cose ci vanno male, se non riusciamo a realizzare i nostri progetti? Come possiamo render gloria a Dio?
Imparare a vivere anche queste situazioni rendendo gloria a Dio è più difficile, ma è essenziale per viverle bene. Perché viverle le viviamo, non è che possiamo eliminarle: se siamo ammalati siamo ammalati, se non riusciamo a realizzare un nostro progetto viviamo quell’esperienza di fallimento. Per viverle nella gratitudine dobbiamo essere certi che quelle situazioni negative – che non ci vengono da Dio, ma dall'insufficienza delle creature, dalla inadeguatezza delle scelte che gli uomini fanno e così via – contengono anch’esse un dono di vita, per cui anche in quelle circostanze possiamo crescere nella dimensione spirituale.

Questa è la cosa fondamentale per noi. Non è tutto, perché tutta la realtà della nostra esistenza deve essere in armonia e deve procedere bene. Però quando questo non avviene dobbiamo riconoscere e accogliere il dono fondamentale per cui cresciamo come figli suoi, quello che Gesù chiamava 'la cosa essenziale’. Ricordate l'episodio di Marta e Maria: "Ti affanni per tante cose, ma una cosa sola è necessaria" (Lc.10,42). Ecco, ci sono situazioni in cui solo questa cosa necessaria ci è offerta, perché tutto il resto viene meno.
Nella morte tutti un giorno vivremo una situazione di questo tipo, quindi non è da dire che è una cosa che è riservata solo ad alcuni. Ma non solo nella morte: ci sono tante situazioni precedenti in cui siamo chiamati a vivere questa esperienza, a rendere gloria a Dio nella sofferenza, nella negatività. Non per quello che viviamo, ma per il dono che nonostante tutto ci viene continuamente offerto, per cui possiamo vivere anche quella situazione in modo salvifico, in modo positivo.

Questo è difficile, generalmente, se non siamo abituati a vivere affidandoci a Dio. Ma se ci educhiamo giorno dopo giorno a vivere in questa consapevolezza del dono sempre offerto, giungeremo spontaneamente a rendere gloria a Dio anche nei momenti dell'umiliazione, nei momenti del fallimento, nei momenti della sofferenza. Ricordate Francesco: "perfetta letizia". Si richiamava ad un'epressione della lettera di Giacomo. "Allora è perfetta letizia" (Gc.1,2). E quella era l'indicazione verbale di una vita che giungeva a rendere gloria a Dio anche nelle situazioni negative.

Chiediamo allora al Signore oggi di imparare a rendere gloria al Padre, ad essere espressioni eucaristiche della Chiesa, nella Chiesa, a vivere la nostra Eucarestia ogni giorno come rendimento di grazie per tutto ciò che ci è dato.
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