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09-IIa Domenica di Pasqua - Anno C

IIa Domenica di Pasqua - Anno C

La fede in Cristo risorto

Gv. 20, 19-31

22 aprile 2001


E’ consolante per noi la beatitudine proclamata da Gesù: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno”. Ma qual è la ragione di questa beatitudine? Perché sono beati?
Gesù è apparso ai suoi primi discepoli solo poche volte, poi è scomparso. C’è una ragione di questo fatto, altrimenti avrebbe continuato sempre ad apparire, anche a noi. Perché erano necessarie le apparizioni ai discepoli e poi era necessario che Gesù si allontanasse da loro (“è bene per voi che io me ne vada”)?
Ce lo chiediamo non per semplice curiosità, ma perché ci aiuta a capire il senso della nostra fede, perché noi siamo nella stessa condizione di coloro che hanno ascoltato la testimonianza degli apostoli e hanno cominciato un cammino di fede. Noi tutti sperimentiamo la difficoltà della fede, perché è realmente un cammino di crescita da compiere e il processo di crescita è sempre faticoso. Noi siamo pigri nella vita, intendiamo restare quello che siamo, mentre la vita di fede è per raggiungere l’identità di figli. Avete sentito nel brano di Giovanni (che probabilmente era inizialmente la conclusione del suo vangelo): “Queste cose sono state scritte perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Gv. 20,31). Avere vita nel suo nome è diventare figli, raggiungere l’identità filiale.
In questa cornice ci fermiamo brevemente ad esaminare i due problemi: perché la resurrezione di Gesù è così importante? Perché le apparizioni?


La resurrezione: un evento salvifico.

Noi tenderemmo a pensare che la resurrezione sia importante perché rivela qualcosa di Gesù, della sua missione, della sua fedeltà. C’è invece una ragione più profonda, che ci riguarda direttamente: la resurrezione di Gesù è importante perché è un evento salvifico, cioè un evento che eleva la qualità umana e rappresenta il traguardo di un processo che l’umanità vive.
Prendiamo l’analogia del sorgere della vita sulla terra, circa 4 miliardi di anni fa o poco meno, quando sono cominciate le prime macromolecole, che si sono moltiplicate, che hanno cominciato a diffondersi, a raggiungere forme nuove di complessità; e poi dopo molto tempo (forse due miliardi di anni) sono cominciate delle forme ancora più complesse, fino allo sviluppo dei viventi. Ecco, la modalità nuova è emersa quando la forza creatrice che alimentava il processo ha trovato uno spazio, una possibilità di espandersi - in modo limitato, certo, ancora caotico, disordinato, perché si realizzava attraverso delle strutture imperfette, inadeguate, rispetto alla ricchezza di vita che veniva immessa. Allora si è realizzato un salto qualitativo. E così sono sorte le forme più complesse di vita. Pensiamo a quando è sorta la nostra specie: è stato certo un salto qualitativo straordinario, perché la forza creatrice ha trovato la possibilità di esprimersi come consapevolezza e libertà.
Poi anche nella storia dell’umanità ci sono stati dei momenti decisivi. Per esempio Jaspers definiva ‘momento assiale’ il periodo dall’VIII al II secolo a.C., perché in quel periodo nelle diverse culture dei popoli di tutta la terra c’è stata una svolta profonda: è iniziata la filosofia, la riflessione.
Ecco, l’evento Gesù rappresenta un nuovo salto di qualità dell’umanità, cioè della ricchezza di vita – non più a livello biologico, certo, ma a livello spirituale – e ha immesso energia nella storia umana. Potremmo dire che la forza creatrice ha trovato uno spazio attraverso il quale espandersi ed esprimersi in qualità nuove.
Ma questo tipo di ricchezza di vita che Gesù ha immesso nella storia umana, che chiamiamo lo Spirito, è affidata a uomini consapevoli e liberi, non a meccanismi automatici come quando la vita è sorta sulla terra, perché la dimensione spirituale non si accoglie e non si diffonde se non attraverso sintonia vitale, consapevolezza e decisione libera. Quello che a livello biologico è il caos, il disordine, la possibilità di mutazioni e involuzioni, a livello spirituale è il rifiuto, è il peccato e il disordine che ne consegue.
In questo senso la risurrezione non è semplicemente un livello manifestativo di una perfezione che Gesù aveva, ma è un evento salvifico, cioè introduce per noi nella storia umana qualcosa che deve essere accolto, custodito, interpretato e sviluppato.

Importanza e limite delle apparizioni.

Da questo deriva anche l’importanza che hanno avuto le apparizioni per i primi discepoli, perché essi non avrebbero avuto nessuna possibilità di interiorizzare la forza di vita che veniva da Gesù, dall’evento accaduto, se non l’avessero incontrato vivo. Quando l’avevano incontrato e l’avevano seguito dalla Galilea a Gerusalemme erano rimasti entusiasti di lui, ma non avevano accolto il suo vangelo, non erano ancora in grado di recepire compiutamente la forza vitale che Gesù comunicava con la sua presenza. Anche il giorno di Pasqua non è stato sufficiente, hanno avuto bisogno di un lungo cammino di fede. Tuttavia se all’inizio non l’avessero incontrato vivo non avrebbero mai avviato questo processo personale, non avrebbero mai cominciato a vivere in un modo diverso. Anzi, erano già caduti nella disperazione, nel pessimismo, nella sfiducia: “Noi speravamo”, dicevano i due discepoli di Emmaus (Lc. 24,21). Per loro era necessario incontrarlo vivo dopo la sua morte, non avevano altri testimoni della novità di vita se non Gesù stesso: solo lui era testimone.
Per questo Gesù non ha avuto più bisogno di apparire: vi erano già testimoni della novità di vita. Inoltre il suo apparire non era sufficiente al cammino di fede degli apostoli. Anzi, io penso (ma può darsi che questo sia sbagliato) che se Gesù avesse continuato ad apparire ai discepoli questo sarebbe stato un impedimento, perché sarebbero rimasti incatenati a lui, mentre il cammino di fede doveva andare oltre: dovevano cominciare a credere in Dio che l’aveva risuscitato, per raggiungere la loro identità filiale. Il Dio che Gesù rivelava non poteva essere visto, poteva solo essere incontrato nella fede. Per questo Gesù dice: “E’ bene per voi che me ne vada. Se non me ne vado non verrà lo Spirito” (Gv. 16,7). Potremmo tradurre: se non me ne vado non farete il salto qualitativo che oggi è richiesto per vivere, per iniziare quindi la nuova tappa della storia della salvezza.

La difficoltà della fede.

Allora comprendiamo il secondo problema: la difficoltà della fede.
Se la fede consistesse solo nella credenza, nel ritenere per vero che Gesù è risorto, non sarebbe un grande problema: succedono tante cose strane nel mondo, la vita stessa è un fenomeno così strano che sorprende continuamente. Ma la fede è abbandonarsi con fiducia, accogliere l’azione che ci trasforma, che ci fa cambiare le idee, che ci fa pervenire a nuova prospettiva di vita, che ci converte continuamente. La fede è vivere le esperienze quotidiane con determinati atteggiamenti, che suppongono conoscenze, ma che non possono essere ridotte a convinzioni. E’ un atteggiamento di vita che si sviluppa nel tempo, non è quindi lo stesso all’inizio della nostra vita, nell’infanzia, nell’adolescenza, nella giovinezza, nella maturità. Per questo diciamo che la fede è un cammino: non perché dobbiamo arrivare da qualche parte, ma perché dobbiamo diventare diversi da come siamo.
Quindi non preoccupatevi eccessivamente dei dubbi relativi a determinate verità, questi non sono le vere difficoltà del cammino di fede. D’altra parte, tutto quello che noi pensiamo è inadeguato e per certi versi sbagliato. Chi di noi può dire di avere un’idea così adeguata alla realtà da poter essere vera sempre? Ma non perché le cose cambiano: perché noi diventiamo nuovi e quindi percepiamo la realtà in un modo diverso.
Quindi anche il fatto di sperimentare dubbi, di passare per situazioni di incertezza, non ci deve fare paura, non è un ostacolo alla fede; anzi, io dico sempre che è un momento necessario al cammino di fede, come per gli apostoli è stato necessario che Gesù scomparisse, che non si presentasse più, altrimenti si sarebbero adagiati in una fase particolare della vita di fede. Così anche per noi è necessario che molte nostre idee, che molti schemi mentali relativi a Dio, a Cristo, alla vita futura entrino in crisi e ne fioriscano di nuovi Di questo non dobbiamo aver paura, anzi, dobbiamo favorire questi processi. E’ utile perciò avere momenti di riflessione, di scambio, di preghiera comune.
Il problema vero del cammino di fede è dunque imparare ad accogliere l’azione di Dio, ad aprirsi al suo Spirito, in tutte le situazioni ed esperienze della nostra giornata. Questo è lo spazio della beatitudine di cui Gesù parlava: “Beati quelli che crederanno pur non avendo visto”, cioè che si fideranno così dell’azione di Dio da diventare figli. Costa fatica, certo. Ci raduniamo spesso a pregare e a riflettere proprio per accogliere quell’azione che non possiamo interiorizzare una volta per tutte. Agli apostoli bastava una apparizione, ma il cammino di fede richiede una continua esperienza dell’azione di Dio e l’accoglienza della sua presenza.

Chiediamo allora oggi al Signore di poter gustare – secondo l’età, secondo la fase di vita in cui ci troviamo – la beatitudine di coloro che credono senza aver visto coi propri occhi, perché si abbandonano con fiducia all’azione di Dio e accolgono quindi lo Spirito del Risorto. Allora anche noi diventeremo testimoni per i nostri fratelli. Tutti noi siamo chiamati a diventarlo, non perché possiamo accertare dei fatti accaduti nel passato, ma perché possiamo mostrare a quale ricchezza di vita conduce la fedeltà all’azione di Dio, allo Spirito del Risorto.
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