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28-XXXIV T.O. annoC - Cristo Re

Solennità di Cristo Re – Anno C

Lc. 23, 35-43

Il regno di Dio in mezzo a noi

Quando ricordiamo gli eventi della storia della salvezza corriamo sempre il rischio di considerarli semplicemente come dei fatti accaduti. Sono, certo, anche dei fatti accaduti, ma non solo: sono eventi che accadono ancora, le dinamiche che hanno messo in moto nella storia sono ancora presenti, anzi, sviluppano spesso dinamiche più ampie di quelle in azione agli inizi del processo. Ricordare perciò il Regno di Dio rivelatosi in Cristo non significa semplicemente ricordare i miracoli compiuti da Gesù, la sua predicazione, la sua morte e la sua resurrezione, che ha dato compimento al suo cammino, ma significa interrogarsi oggi, sul Regno di Dio nella storia degli uomini e sulla nostra accoglienza della sua azione. Quell’ che Gesù ha pronunciato sulla croce è ancora il nostro oggi, riguarda anche il nostro presente: “Ricordati di me quando entrerai nel regno”. “Oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43).
Che cos’è il Regno di Dio? È l’azione, l’energia, la forza, con cui Dio conduce la creazione al compimento, quindi guida ciascuno di noi alla sua identità di figlio e la società umana a quella pienezza di vita a cui tutti siamo chiamati.
Noi viviamo infatti due tensioni che si intrecciano. La prima è la tensione al compimento personale, cioè a quell’identità di figli per cui, come diceva Gesù, c’è un nome scritto nei cieli per noi (cfr. Lc 10,20): siamo nati incompiuti, imperfetti, non identificati ancora e ogni giorno ci sono offerti doni di vita per acquisire la nostra identità definitiva. Questo è il primo aspetto, quello personale. Avvertiamo poi un’altra tensione, quella dell’umanità, che vuole pervenire a traguardi nuovi di fraternità, di giustizia, di pace. Anche se non conosciamo le strade per pervenirvi, perché dobbiamo continuamente aprirle giorno dopo giorno, però avvertiamo la tensione interiore al compimento. La tensione è suscitata in noi dalla forza creatrice, che però non può esprimersi, non può essere efficace, se non diventa nostro desiderio, nostro pensiero, nostra decisione e nostra azione.
Parlando del Regno di Dio, quindi, non ci riferiamo ad una realtà lontana bensì presente nella storia, che esige di diventare pensiero e azione per realizzare un progetto di salvezza.

L’equivoco in cui spesso cadiamo è quello di pensare all’azione di Dio come a una realtà estranea che si aggiunge e che completa la nostra azione. Questo modo di pensare non ci fa capire bene che cos’è il Regno di Dio in noi e nella storia. Il modello natura-sopranatura, che per diversi secoli è stato utilizzato, fino a metà del secolo scorso, favoriva una interpretazione dualista, come se la natura fosse il regno degli uomini e la sopranatura fosse il regno di Dio e della sua grazia. Questo modello è fortemente ambiguo, perché separa l’azione di Dio dalla nostra azione e quindi non ci fa capire bene l’interiorità del Regno e il suo carattere sociale. Suggerisce l’idea che l’azione divina si aggiunga alla nostra realtà già realizzata e che nella società completi quello che l’uomo fa nella storia per la pace, la giustizia, la fraternità, come qualcosa che sopraggiunge, quando gli uomini non sanno più che cosa fare.
Questo modo di interpretare il Regno di Cristo non ci consente di capire bene la nostra responsabilità e quindi neppure il significato profondo del Regno di Dio dentro di noi e in mezzo a noi. Vorrei perciò illustrare brevemente questa connessione profonda.
Quando diciamo ’il Regno di Dio è dentro di noi’ non ci riferiamo una realtà che, come un vestito, viene sovrapposto alla nostra realtà personale, ma a quella energia di fondo, a quella forza creatrice che ci consente di diventare figli, di crescere ogni giorno fino alla maturità e alla morte.
D’altra parte non possiamo accogliere il dono della nostra identità filiale in un solo istante, perché non abbiamo gli spazi per interiorizzarlo, per farlo nostro dobbiamo percorrere un lungo cammino – è il cammino della nostra vita, che viene simboleggiato nell’anno liturgico – nella successione dei giorni della nostra esistenza.
Per cui ogni giorno dobbiamo interrogarci: come oggi il Regno di Dio, cioè la sua azione, in me e nella storia vuole esprimersi? Quale forma nuova di dedizione, di servizio, di attenzione, di misericordia, di tenerezza, di giustizia, di pace, che prima non poteva realizzare, oggi l’azione di Dio può sviluppare? Il Regno di Dio, infatti, è un cammino, un processo, che si attua secondo il grado di accoglienza dell’azione divina.
La condizione quindi è molto chiara: è la nostra accoglienza. Ma l’accoglienza non di qualcosa che sopravviene dall’esterno o cade dal cielo, bensì che fiorisce dal di dentro e ne rappresenta uno sviluppo qualitativo.
Questo è un punto che presenta difficoltà, perché il nostro rapporto con Dio ha caratteristiche uniche e irrepetibili, essendo Dio creatore. Non ci sono altre situazioni in cui possiamo applicare lo stesso modello. Diciamo per esempio che l’artista crea: in realtà mette insieme elementi della sua sensibilità, delle sue immagini interiori o componenti della natura, ma che esistono già. L’azione creatrice di Dio, invece, ha un altro carattere, perché suscita novità, radicali, comunica qualità totalmente inedite. Pensate quando nel tronco della vita fiorisce la sensibilità o il pensiero. O quando nel tronco della volontà si esprime la libertà o forme nuove di amore.
Per questo il Regno di Dio è un processo che si attua ogni giorno. L’oggi del Regno siamo noi, se ne accogliamo l’azione, cioè se siamo fedeli, o meglio, se non poniamo ostacoli. Perché il Regno non entra nelle persone, non si sviluppa nella storia se non c’è accoglienza, se noi chiudiamo la porta e blocchiamo il processo.

Certo, noi possiamo dire che il Regno di Dio è già, nella sua forma trascendente, perché con questa formula indichiamo anche la realizzazione piena al termine della vita. Ora, esiste già una forma di regno pienamente realizzata: è Cristo risorto, è Maria sua madre e sono tutti i santi, coloro che sono pervenuti alla pienezza di vita. Tutti costituiscono il Regno nella sua forma compiuta, ma non ne sappiamo nulla per cui non possiamo descrivere o immaginare quello che saremo. Invece l’aspetto storico, cioè quello che si sviluppa qui sulla terra, ci coinvolge immediatamente come attori. Se non accogliamo l’azione di Dio che in noi fiorisca in forme nuove di giustizia, di fraternità, di misericordia, il Regno di Dio oggi non c’è. Se impediamo la realizzazione della giustizia, se ci chiudiamo nei nostri piccoli interessi, se vediamo solo le nostre prospettive e consideriamo vero, assoluto, il nostro modo di vedere le cose, noi blocchiamo il processo, cioè il Regno di Dio non viene. Esiste in cielo, in una modalità a noi ignota, ma non esiste sulla terra.
Quando parliamo della regalità di Gesù vogliamo dire che il Vangelo di Gesù indica le leggi dello sviluppo dell’azione divina nella storia umana. Proclamare Cristo Re implica la convinzione che il suo Vangelo sia uno statuto di vita o di salvezza, cioè delle regole che conducono l’uomo alla sua identità personale, a quel compimento finale che non conosciamo, e la comunità umana a quella perfezione che a volte intravediamo come possibile, e al compimento nel mondo ultraterreno. Che quindi il Vangelo sia regola di vita, cioè che indichi le leggi fondamentali dell’esistenza: questo è l’oggetto della nostra fede in Cristo Re dell’universo.
Ma come possiamo affermare questo? Come si può affermare che il Vangelo indica le leggi fondamentali della vita? Non lo possiamo argomentare, possiamo solo coglierlo nella nostra esperienza, sperimentarlo insieme vivendo forme nuove di fraternità, di misericordia, di perdono reciproco, e mostrarlo nelle realizzazioni storiche e sociali.
Finora questo è apparso in modo sufficiente. I duemila anni della storia cristiana sono certamente una testimonianza di forme nuove di umanità, di dedizione, di servizio, di giustizia, di passi avanti straordinari compiuti. Ma potremmo anche pensare che questa funzione del Vangelo di Gesù sia esaurita. Potremmo pensare che il Vangelo ha svolto una funzione storica per questi duemila anni, ha raggiunto traguardi di umanità, ma che ora non funziona più, ci vogliono altri vangeli, che indichino altre leggi corrispondenti alla situazione nuova del mondo e della storia.
Quando alcuni parlano per esempio della fine del cristianesimo non negano la funzione storica ma si riferiscono all’attuale insufficienza. Non negano l’efficacia che ha avuto il Vangelo in questi duemila anni nel promuovere l’umanità, nel condurre a forme di umanità profonde e ricche. Ha suscitato tanti santi, questo non può essere negato da nessuno, nonostante i limiti e le imperfezioni che il cammino appunto limitato e imperfetto implica. Ma il problema è oggi. Quell’ che Gesù pronuncia sulla croce può ancora essere pronunciato nei nostri giorni?
Ora, questo non può apparire altro che dalla fedeltà di persone e di gruppi, di comunità e di popoli interi, che realizzano traguardi nuovi di giustizia in nome di Cristo. Allora saranno testimoni del Regno di Dio in Cristo, cioè di Cristo Re, perché il Regno di Cristo è la manifestazione del Regno di Dio nella storia degli uomini.

Celebrare la festa di Cristo Re, quindi, vuol dire impegnarsi per diventare testimoni della salvezza che per mezzo di lui ci perviene. Se rinunciamo al nostro impegno, il regno di Dio non viene. Non possiamo dire: “Dio ci pensa”, perché il pensiero di Dio deve diventare pensiero umano per essere visibile ed efficace sulla terra. Se non diventa pensiero e gesto umano non appare e non opera.
Quando nella storia coloro che si chiamano cristiani tradiscono, cioè non vivono la fedeltà al Vangelo, perché non lo considerano come legge di vita il dubbio della inesistenza di Dio è fondato. Per questo oggi è importante che ci siano gesti di fedeltà al Vangelo, che siano posti dei segni di speranza per il cammino della storia umana.
Inoltre se il Regno di Dio è un processo, un reale divenire, devono sorgere continuamente forme nuove di umanità. Se invece ripetiamo solo gesti antichi, non consentiamo il cammino del Regno, ma torniamo indietro. Per preparare il futuro, per poterlo dichiarare possibile è necessario che fioriscano gesti nuovi, che siano posti segni della speranza.
Io ricordo spesso a questa proposito la lettera di una madre mussulmana, quando fu pubblicato il testamento di Christian, il priore dei sette monaci trappisti di Tibihirine (Algeria) che furono uccisi nel maggio 1996. Christian aveva scritto il testamento un anno prima della morte sua e dei suoi compagni offrendo perdono al suo eventuale uccisore. Quando la lettera fu pubblicata una donna mussulmana chiamò i figli, lesse loro il testamento spirituale di Christian e scrisse una lettera ai cristiani di Algeria e al Vescovo, in cui diceva ai cristiani: “Restate in mezzo a noi, perché abbiamo bisogno di questi segni per continuare a sperare in un futuro migliore”. Oggi l’Algeria sembra aver superato almeno le forme più gravi del fondamentalismo, ma la speranza che quei monaci hanno suscitato con la loro fedeltà resta come testimonianza di un futuro possibile. Avrebbero potuto fuggire via e conoscevano il rischio, anzi, erano stati invitati dai loro superiori a tornare in Francia, ma sono rimasti in Algeria nel loro monastero, a pregare, sono rimasti come segno di una speranza.
La storia è così veloce che anche i segni si esauriscono nella loro funzione di testimonianza. Oggi sono necessari altri segni, perché gli uomini possano sperare in un futuro diverso.

Ecco, se oggi vogliamo celebrare Cristo Re, cioè riconoscere che il Vangelo è legge di salvezza, che indica le leggi fondamentali per il processo della vita, dobbiamo essere consapevoli dell’impegno che questo implica, del coinvolgimento necessario, della testimonianza che dobbiamo dare perché sia ancora possibile sperare sulla terra, perché sia possibile lo sviluppo dell’umanità e del suo cammino.
Noi come credenti in Dio siamo certi di questa possibilità, fondata sulla forza creatrice, che contiene già le ricchezze di vita a cui dobbiamo pervenire; ma sappiamo che la forza creatrice di Dio se non diventa nostro pensiero, nostra azione, nostro desiderio resta inefficace nella storia. Cominciamo di lì: dal desiderio, dalla sensibilità, dall’opinione che diffondiamo intorno a noi, pian piano penetra nelle case, nelle famiglie e diventa movimento culturale e spirituale. Questo dobbiamo fare perché possiamo sentir risuonare nella nostra vita, quella parola di Gesù sulla croce: “Oggi sarai con me”.
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