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05 - IVa Domenica di Avvento – Anno A

IVa Domenica di Avvento – Anno A

Mt. 1, 18-24
Dio che salva è con noi

Quello che abbiamo letto nel Vangelo è il racconto di un sogno, che ci introduce subito nel piano del simbolismo, dei significati profondi. Il significato è riassunto nei due nomi dei personaggi che sono gli attori centrali. Voi sapete l'importanza che aveva per i semiti il nome: non è semplicemente un designativo, è costitutivo della realtà. I due nomi indicati in questo brano sono: 'Emmanuele', già presente nel testo del profeta Isaia che abbiamo ascoltato come prima lettura, e 'Gesù'. 'Emmanuele' significa 'Dio con noi' e 'Gesù' significa 'Dio salva': sono i due aspetti fondamentali del mistero di Natale che ci prepariamo a celebrare.
'Mistero' vuol dire il significato profondo degli eventi. Tutta la realtà in questo senso è misteriosa: la nostra vita, anche le cose più semplici della nostra esistenza, sono mistero, in quanto esprimono qualcosa di più grande. Avere fede in Dio, infatti, significa ritenere che in gioco nella nostra vita c'è un'energia più grande, c'è una qualità di vita molto più ricca di quella che si riesce ad esprimere nella nostra esistenza e nella storia.
Nel Natale celebriamo la realtà trascendente che si esprime nella creatura, quindi celebriamo la manifestazione di Dio, cioè la sua emergenza nella storia umana, attraverso le creature, come forza di salvezza. La forza creatrice, dal punto di vita dei nostri concetti, potrebbe esprimersi anche come forza di distruzione: ci sono diverse religioni che contemplano anche questo aspetto, per esempio nell'induismo c'è il richiamo anche alla forza distruttrice di Dio. Il Natale ci ricorda invece che questa forza è salvifica.
Questi due nomi ‘Emmanuele’ e ‘Gesù’ riassumono il mistero del Natale e ci offrono indicazioni su come noi possiamo viverlo, coinvolgendoci nel mistero celebrato. Perché, come già sappiamo, le celebrazioni liturgiche non sono semplicemente il ricordo di eventi passati, anniversari che ritornano, come possiamo celebrare qualche altro anniversario della storia umana. La celebrazione liturgica è il coinvolgimento nel processo che è stato avviato dall'evento salvifico, per renderlo efficace nel nostro presente, quindi per continuarne l'azione nel tempo. Per questo tutti noi siamo coinvolti nel Natale che celebriamo.
Consideriamo che cosa significano questi due nomi in ordine al nostro coinvolgimento: che cosa significano in sé e che cosa richiedono da noi per essere celebrati.

‘Emmanuele’, ‘Dio con noi’: la presenza di Dio.

Spesso richiamiamo questa verità fondamentale: Dio è presente nella nostra vita, Dio è presente nella storia. Emmanuele questo significa: Dio è con noi.
Cosa significa ‘presenza’? Noi utilizziamo parole umane, che hanno dimensioni spazio-temporali che non valgono per Dio. Dobbiamo renderci conto che l'utilizzazione di questo termine è analogica, indica cioè una relazione, ma non esprime direttamente o in senso proprio la realtà.
Per dare un esempio: qualcuno potrebbe entrare in questa chiesa perché sbaglia posto, o per ripararsi dalla pioggia. Si fa presente, ma non è presente alla liturgia, non si lascia coinvolgere. Può darsi che anche alcuni di noi siano presenti in questo luogo, ma non siano presenti in modo consapevole e attivo alla liturgia. Quindi ci sono diverse modalità di presenza. Ci possono essere anche delle presenze ostili, delle presenza non accolte.
Ora, la presenza di Dio è di tutt'altro tipo, perché è fondata sulla forza creatrice, su quell'azione per cui noi siamo esistenti e diventiamo viventi. Quindi è una presenza necessaria per noi, ma che non duplica la realtà: non c'è la nostra realtà più Dio. Dio non è un'aggiunta alla nostra realtà, Dio è presente in quanto noi siamo. In questo senso è in noi, perché noi siamo. Quindi noi stabiliamo la misura della presenza di Dio: col nostro divenire, con la nostra fedeltà, con la nostra crescita, noi fissiamo la presenza. Per cui possiamo anche impedire la presenza, ad un certo livello. A livello fisico no, a livello biologico ancora no, ma a livello psichico e a livello spirituale possiamo impedire la presenza di Dio, perché la regola fondamentale è che Dio viene dove è accolto, cioè Dio è presente dove la creatura lo rende presente. Certo, tutto questo lo fa in virtù della forza creatrice, quindi alla radice c'è sempre l'azione di Dio, che diventa la nostra decisione, la nostra scelta, l’esercizio della nostra libertà.
Capite allora cosa significa celebrare il Natale: significa rendersi disponibili a rendere presente Dio nella nostra vita. Questo significa poi che nascono figli di Dio, che il figlio di Dio cresce in noi, perché è una presenza efficace, di vita, che fa crescere la persona. Quindi secondo la nostra crescita noi rendiamo presente Dio e lo riveliamo. Quindi è un mistero epifanico, cioè di rivelazione, quello che il Natale ci ricorda.
E Gesù ha vissuto pienamente, in tutta la sua esistenza, la consapevolezza di questa presenza. Soprattutto nell'età adulta, quando ha vissuto consapevolmente la sua missione, per cui poteva dire: "Io non faccio nulla da me stesso, il Padre compie in me le sue opere; le parole che io vi dico non sono mie"( Gv.14,10).
Se potessimo anche noi, in certe situazioni, ripetere questa esperienza e ripetere queste parole! Se potessimo dire qualche volta: "Quello che io compio, Dio lo compie in me. Le parole che io dico non sono mie, fioriscono all'interno di un rapporto, di una fedeltà vissuta"!
Forse le poche volte che noi siamo riusciti a vivere in questo modo abbiamo colto quale forza di vita si esprime attraverso i gesti e le parole, quale ricchezza si espande anche dentro di noi quando giungiamo a vivere secondo questo modello.
'Emmanuele' indica precisamente la funzione esercitat da Gesù e la missione affidata a noi: di rivelare Dio nella storia degli uomini.
Questo vale non solo a livello personale, ma anche a livello sociale: una coppia può vivere in modo da rivelare Dio ai figli, da costituire un ambiente di crescita per le persone; un gruppo che si impegna, una comunità religiosa, una comunità ecclesiale, anche un popolo intero, in determinati momenti possono svolgere la missione di rivelare Dio. Quando c'è violenza, quando c'è odio, Dio non è presente: perché dove non è accolto Dio non si esprime, dove non giunge ad essere gesto umano l'azione di Dio non esiste. Non esiste nella creazione, non esiste nella storia.
Capite allora quale impegno di epifania, di rivelazione, richiede il Natale di guerra, il Natale di violenza che stiamo per celebrare. Anche se non si fa nulla, l'essere in un determinato modo rende presente Dio, è epifania.
Pensate quanto è importante che ci siano presenze epifaniche nelle nostre città, dove è così diffusa la ricerca del benessere, dove l'ingiustizia può assumere forme molto più estese e profonde, data anche la situazione sociale. E' importante che ci siano presenze epifaniche, cioè che indicano ideali più grandi: anche se ora non possono essere realizzati, anche se non si può far nulla, si può suscitare la nostalgia di qualcosa che ancora non c'è o che è stato intravisto nei sogni degli ideali, ma che non può essere ancora realizzato. Per non far cadere la speranza, per alimentare le attese. Perché il Signore viene, là dove è atteso e accolto.

‘Gesù’, ‘Dio salva’: il dono di vita ci rende figli.

La salvezza non è semplicemente il compimento del dopo morte bensì è anche il dono di vita per cui giorno dopo giorno cresciamo come figli di Dio. La seconda lettura, il prologo della lettera ai Romani, ricordava il cammino compiuto da Gesù: "costituito figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santità in virtù della risurrezione dei morti" (Rm.1,4), che è il compimento trascendente. Questo è il momento culminante della salvezza, però essa si realizza nel tempo e avviene attraverso un cammino di fedeltà, che Gesù ha compiuto nella fede, fino a pervenire a quel traguardo. Anche noi siamo chiamati a compierlo. Per noi e per gli altri. Per noi, nel senso che ogni esperienza ci offre un piccolo frammento di quella identità che raggiungeremo al termine del cammino, quando appunto il nome ci verrà consegnato. E per gli altri, nel senso che in ogni rapporto vissuto siamo chiamati ad offrire vita, perché la vita non si può interiorizzare se non offrendola, non si può possedere se non donandola.
Questo vale anche di Dio nella misura in cui riusciamo a balbettare qualcosa della Trinità santa, è il dono totale, completo, che si realizza all'interno della divinità. Questa è la legge anche della nostra salvezza: si accoglie vita quando la si offre. Il Natale per questo è stata sempre la festa della donazione, della generosità, della solidarietà con gli altri. La storia della salvezza, cominciata molto prima di Gesù, ha avuto in lui una tappa fondamentale.
Noi siamo chiamati a continuare questa storia. E quindi se vogliamo celebrare il Natale dobbiamo essere disponibili al dono della vita ai fratelli. Le iniziative di questi giorni sono abitualmente simbolo di questa disponibilità. Anche i doni che ci scambiamo in occasione del Natale sono simboli di qualche cosa di molto più profondo, cioè della vita che ci vogliamo offrire reciprocamente. E l'Eucarestia è precisamente il sacramento di questo scambio di offerte vitali.
Pensate in questi giorni le forme di solidarietà coi popoli della fame, coi popoli tormentati dalla violenza o ridotti allo stremo dall'incompetenza dei politici o dalla violenza degli uomini. E il pensiero corre immediatamente al Medio Oriente, perché è appunto il luogo dove gli eventi che ricordiamo si sono realizzati: non si celebra la festa del Natale oggi, come gli altri anni, a Betlemme, a Gerusalemme, a Nazareth, per la grave situazione di violenza e di difficoltà che si vive in quei luoghi.
Cosa significa allora per noi celebrare il Natale? Significa intensificare l'impegno di accoglienza degli altri, di dialogo, di fraternità, in modo che pian piano le onde di comunione si diffondono e invadono il mondo intero. Noi siamo in questo senso molto pigri e in ritardo rispetto agli eventi della storia. Per questo il Natale che stiamo per celebrare ci sollecita ad un impegno rinnovato, per diventare anche noi epifania dell'azione di Dio nel mondo, strumenti della sua salvezza. Ricordando sempre il grande principio che dove non ci sono azioni di creature Dio non è presente, dove non ci sono creature che salvano, Dio salvatore non è presente.
Questa è la responsabilità del Natale al quale ci stiamo preparando.
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