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08-Epifania del Signore – Anno A

Epifania del Signore – Anno A

Mt. 2, 1-12

Un cammino di libertà



‘Epifania’ significa ‘manifestazione’ e celebra, concludendo tutte le feste di questi giorni, uno dei temi fondamentali delle feste natalizie, il tema della manifestazione di Dio, che è la condizione del nostro cammino di fede, della nostra libertà e della nostra missione.
Vorrei mostrare perché celebrare la manifestazione di Dio significa riconoscere il fondamento della nostra libertà e anche il compito che ci viene affidato, quindi la nostra missione.

La manifestazione di Dio è un tema centrale delle feste natalizie perché nel Natale abbiamo celebrato la nascita di Gesù come evento di salvezza, come ambito quindi dell’azione di Dio che offre vita agli uomini e attraverso di loro si manifesta. La Bibbia utilizza la formula ‘gloria di Dio’ per indicare la sua azione nella storia degli uomini. La gloria è lo splendore, la manifestazione della perfezione divina in chiave creata, nei limiti delle creature.
Questa festa perciò contiene due componenti fondamentali della storia della salvezza: l’azione di Dio attraverso le creature e i suoi limiti (o la ‘kènosi’, per usare un termine biblico).

Noi siamo in quanto la Vita è già, noi possiamo amare in quanto il Bene è già. La legge dell’incarnazione è chiara: la nostra azione è significativa in quanto è riflesso di una realtà più grande. Questo è il mistero del Natale. Noi siamo chiamati a diventare ciò che ancora non siamo perché in azione nella nostra piccola esistenza, c’è una forza più grande, c’è un Bene così grande che in noi può esprimersi in amore mai vissuto, c’è una verità così grande che può diventare intuizioni, idee mai ancora sviluppate, c’è una giustizia così grande che può diventare giustizia tra i popoli, può diventare pace mai ancora sognata dagli uomini, tanto meno quindi attuata.
Questo è il grande annuncio del Natale, che poi è la Buona novella, è il Vangelo di Cristo: Dio è, la sua forza in noi può esprimersi come vita, come novità, come giustizia, come pace.
Il Natale celebra la nascita di Gesù come evento di salvezza, come epifania o rivelazione di Dio. Non nel senso che un essere divino sia venuto sulla terra, queste sono formule metaforiche, che se vengono intese in senso proprio diventano mitologia: nessun essere divino è sceso sulla terra, ma l’azione di Dio, il suo amore, è riuscito a far fiorire sulla terra una forma nuova di umanità. E questa azione continua ancora: per questo diventa missione per noi.
Questo è il primo dato da tenere presente per celebrare bene questa liturgia: noi celebriamo la manifestazione di Chi non può essere conosciuto né visto. È così grande che non può rientrare nelle nostre categorie, non può essere quindi oggetto dei nostri strumenti di conoscenza. “Dio nessuno l’ha mai visto”, ci ricorda Giovanni.
Eppure Giovanni stesso nella sua I lettera dice: “Dio è luce e in Lui non ci sono tenebre”. Può esprimersi perciò nelle creature, ma nelle creature può esprimersi solo in modo limitato, imperfetto, perché le creature non possono accogliere la perfezione divina se non in modo frammentario.

Questo fatto è la garanzia della storia, la ricchezza dello sviluppo nel tempo. La perfezione da comunicare è così profonda, la luce che vuole risplendere è così intensa, che richiede molto tempo per potersi esprimere in una successione di esperienze, di eventi della storia umana.
Per questo la liturgia che celebriamo non è solo il ricordo del passato, bensì è la celebrazione di ciò che ora sta avvenendo. Anche oggi continua la manifestazione di Dio nella storia degli uomini, per cui ci può essere una forma di amore ancora mai vissuta dall’umanità, ci possono essere espressioni di verità finora mai conosciute dagli uomini. In questi ultimi secoli quante scoperte straordinarie gli uomini hanno compiuto! Perché la verità è già e può quindi esprimersi in modo nuovo nella storia umana.
La celebrazione quindi dell’epifania non è solo il racconto di un cammino compiuto, è l’annuncio di un cammino possibile, anzi necessario, dell’umanità. Anche i Magi di cui parla il Vangelo di Matteo probabilmente sono un simbolo. Queste pagine infatti fanno parte dei Vangeli dell’infanzia, che, lo sapete, hanno un carattere tutto particolare: sono in fondo midrashim, cioè meditazioni compiute su eventi o su testi antichi, che però rivelano delle leggi fondamentali della storia della salvezza e quindi i significati degli eventi accaduti. Ci sono degli eventi realmente accaduti, come la nascita di Gesù e ci sono racconti che ne mettono in luce i significati e il valore.
Sappiamo quindi che la celebrazione ci coinvolge come attori di un processo che ancora è in corso. Il racconto odierno ci indica alcune caratteristiche di questo processo e quindi gli atteggiamenti che ci sono richiesti per essere coinvolti come attori in questo processo.

Il primo dato che vorrei farvi notare è la sproporzione tra la figura di Erode, il re che allora dominava nella Giudea e la figura del piccolo (che viene chiamato ‘re’, ma con valore simbolico, in rapporto alla funzione che svolgerà) che non viene riconosciuto in realtà da nessuno, di cui nessuno ha registrato la nascita, che è avvenuta in un modo molto silenzioso, ignoto a tutti. Eppure noi oggi siamo qui a celebrare la rivelazione di Dio che si è realizzata attraverso questo piccolo bambino.
Questa è un’indicazione molto chiara delle leggi della storia della salvezza. Erode sì, lo ricordiamo ancora, ma lo ricordiamo perché ha avuto rapporto col piccolo che era nato, altrimenti chi si ricorderebbe di Erode? Noi oggi siamo qui per celebrare la rivelazione di Dio avvenuta attraverso quel piccolo che nessuno allora ha riconosciuto. Anche il cammino dei Magi è un cammino simbolico del riconoscimento successivo delle genti come Messia.
La legge della salvezza resta anche oggi: ciò che vale nella storia degli uomini non è registrato dai giornali, dalle televisioni, dalle agenzie di stampa. E noi, proprio perché siamo figli di questa cultura dell’immagine, rischiamo di perdere il senso della realtà e quindi di aggrapparci a ciò che ha risonanza, ma non rimane. Certo, Erode allora aveva fatto costruire il tempio, l'aveva abbellito, era noto a tutti proprio per la sua azione, veniva riconosciuto come grande, tanto da essere chiamato appunto ‘Erode il Grande’. Eppure il piccolo che era nato ha cambiato la storia, mentre Erode il Grande non ha fatto nulla di significativo e se le lo ricordiamo è solo per il rapporto che ha avuto con il piccolo insignificante.
La ragione è che le dinamiche della salvezza si sviluppano attraverso il cuore degli uomini, attraverso l’interiorità, e ciò che è interiore non è visibile se non attraverso i frutti. Ma i frutti richiedono tempo.
Allora comprendiamo il rischio che noi invece corriamo di inseguire le apparenze, l’esteriorità, le illusioni e l’importanza di curare il mondo interiore. Quando dico il mondo interiore non voglio semplicemente riferirmi all’individualità, perché c’è un mondo interiore anche della specie, c’è lo sviluppo dell’interiorità umana che si esprime nell’esigenza della pace, nelle attuazioni della giustizia. Non si improvvisano, queste cose, richiedono un cambiamento profondo.

Ma c’è un altro aspetto con cui voglio completare questa riflessione, ed è il richiamo alla libertà dell’uomo. L’inseguimento delle illusioni, delle apparenze, ci conduce ad atteggiamenti determinati dall’esterno, cioè di schiavitù, di dipendenza, mentre il curare la vita interiore rende possibile la libertà. Il fondamento ultimo della libertà è proprio l'azione di Dio in noi, la sua azione nella storia degli uomini. Se non ci fosse l'azione di Dio, la libertà sarebbe illusoria.
Il cammino di fede perciò che ci viene indicato nella simbologia dei Magi è un cammino di libertà. Ci sono stati dei tempi in cui si pensava che l’esistenza di Dio fosse un impedimento alla libertà dell’uomo: “Se Dio esiste l’uomo non è libero, perché già tutto è determinato”. Questo era un modo di pensare all’azione di Dio inadeguato, antropomorfico. L’affermazione giusta è proprio quella opposta: Dio è la condizione della libertà degli uomini.
Siamo liberi perché ciò che è in gioco nella nostra vita è più grande di noi e ci offre possibilità diverse, ci rende possibili delle novità che altrimenti non sarebbero possibili. Perché possiamo imparare ad amare in un modo finora mai vissuto? Perché il bene che ci sollecita ha una ricchezza tale, che può introdurre in noi dinamiche finora mai espresse. Perché possiamo giungere a conoscere verità prima mai conosciute? Perché la verità esiste già e può diventare in noi idea nuova. Ora, queste diverse possibilità che ci vengono continuamente donate rendono possibili l’emergere di ciascuno di noi, sul nostro passato. Altrimenti noi non faremmo altro che ripetere costantemente quello che siamo già, combinare insieme i diversi stati d’animo che abbiamo, le diverse idee che abbiamo, per presentarle in un modo nuovo, ma tutto sarebbe sempre già determinato. L’irruzione della novità è possibile perché Dio è, perché cioè l’azione in gioco nella nostra esistenza è molto più ricca e profonda di ciò che noi siamo: la luce risplende in alto. L’immagine della stella in questo senso è molto ricca di significati.
Ogni volta che facciamo esperienza di libertà, scopriamo Dio nella nostra vita. È questo l’unico modo che abbiamo di conoscere Dio.

La terza indicazione di questa liturgia è il compito che ci è stato affidato. Vivendo, accogliendo l’azione di Dio in noi nella libertà, diventiamo luce del cammino altrui, apriamo il cammino anche per i nostri fratelli. La missione è necessaria, perché se non ci sono creature che riflettano l’azione divina, Dio è assente dalla storia umana, ci sono solo le tenebre. Se nessuno riflette la luce il cielo è buio: diventa luminoso solo quando ci sono dei corpi, come l’aria, che può riflettere la luce che viene dal sole o dalle stelle. Altrimenti tutto sarebbe buio. Così è nella nostra storia: se non ci fossero persone che riflettono la luce di Dio e la sua azione, che rendono visibile il suo amore, tutto sarebbe buio, non ci sarebbe possibilità di riconoscere Dio.
Capite la responsabilità che noi abbiamo di fronte a coloro che cercano il senso del proprio cammino. E tutti lo stanno cercando. Per questo è necessario che ci siano persone che accolgono così la parola di Dio, da farla risuonare nella propria esistenza attraverso gesti, pensieri, amore, misericordia.
Questa è la missione che abbiamo: accogliere la luce per diventare, come diceva Gesù, splendore della gloria del Padre, per riflettere quindi l’amore di Dio e renderlo visibile sulla terra. Come ha fatto appunto Gesù nella sua vita.

Chiediamo allora al Signore la luce per capire bene la nostra condizione, e chiediamo quella forza che ci rende possibile una risposta generosa e fedele, perché attraverso la nostra risposta l’azione di Dio possa esprimersi e il cammino della storia degli uomini possa continuare.
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