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09-Battesimo del Signore – Anno A

Battesimo del Signore – Anno A

Mt. 3, 13-17

Il cammino di Gesù


Il breve racconto di Matteo comincia dicendo che Gesù “andò dalla Galilea in Giudea da Giovanni, per essere battezzato”: con questa formula viene descritto un cammino reale compiuto da Gesù.
Vorrei sottolineare questo aspetto, perché noi siamo abituati, per i modelli tradizionali con cui siamo stati educati alla fede, a pensare al battesimo (come ad altri eventi di Gesù) come all’irruzione del divino in Gesù e dimentichiamo il cammino reale che Egli compie, che implica decisione, implica distacco, trasformazione. Luca dice che: “cresceva in sapienza, età e grazia” (Lc.2,52), ma spesso queste parole le interpretiamo solo come la descrizione esteriore della esperienza di Gesù, mentre si riferisce a una trasformazione reale vissuta da Gesù: è cresciuto realmente nella sua vita spirituale. Per cui il battesimo, come altri eventi, rappresentano momenti decisivi, momenti di svolta.
In questa luce vogliamo esaminare, e quindi anche vivere oggi liturgicamente, il battesimo di Gesù: in funzione della nostra trasformazione, perché anche noi siamo in un processo di questo tipo, per diventare figli. Processo che implica una trasformazione reale della nostra interiorità, il passare cioè dall’ambiguità degli inizi a una chiarezza interiore, dalla falsità della nostra vita a una trasparenza che consenta all’azione di Dio di riflettersi in noi e di risplendere. Questa è la ragione della nostra riflessione, che ha due momenti: il momento cristologico e il momento antropologico - per usare delle parole grosse; ma le cose sono molto semplici.

Esaminiamo prima il cammino di Gesù.
Questo aspetto è abbastanza recente nella riflessione cristiana, perché per lunghi secoli la riflessione su Gesù è stata bloccata, potremmo dire inquinata da alcuni pregiudizi o presupposti, come per esempio il dono della visione beatifica fin dall’inizio della sua vita, per cui già vedeva tutta la realtà alla luce di Dio. Questa convinzione ha impedito di cogliere i reali progressi compiuti da Gesù nella sua esistenza e quindi i momenti di svolta, di conversione, di trasformazione reale. Al punto, per esempio, per riferirci al battesimo, che molti Padri della Chiesa, per giustificare il fatto che Gesù si è sottomesso al battesimo di Giovanni, dicevano che l’ha fatto non per essere lui santificato, ma per santificare le acque attraverso le quali noi saremmo stati battezzati. E’ quindi il totale capovolgimento della prospettiva, perché, pensavano, se già sapeva tutto, se già vedeva tutto alla luce di Dio, che bisogno aveva di un cambiamento, di una trasformazione? Vedevano perciò il battesimo di Gesù in funzione salvifica degli altri, non come un momento della sua trasformazione.
Invece nel Vangelo appare con chiarezza il cammino che Gesù compie: partì dalla Galilea, andò nella Giudea per essere battezzato. Ed era un battesimo di penitenza, un battesimo di conversione. Era per la ‘remissione dei peccati’, secondo una formula che esprime il bisogno che l’uomo ha di accogliere la parola di Dio, che è parola di misericordia quando c’è il peccato, che è parola di grazia, di vita, quando c’è un cammino per giungere a un compimento. Tutti noi siamo in questa situazione, ma anche Gesù ha vissuto questo cammino per giungere al compimento.
Solo verso la metà del secolo scorso è stato abbandonato quel pregiudizio della visione beatifica di Gesù fin dall’inizio e quindi della sua chiarezza interiore, per cui non si parlava del suo cammino di fede.
Allora questa riflessione ci consente di accostarci a Gesù nel suo cammino e quindi di penetrare pian piano la sua spiritualità, la sua sensibilità; di assorbirla, di farla nostra, per giungere anche noi a questa consapevolezza della indegnità della nostra struttura di creature in rapporto alla missione che ci è affidata, della inadeguatezza dei nostri pensieri, della nostra sensibilità, dei nostri stati d’animo, ai compiti che la vita ci affida.
Questo è il primo dato fondamentale per il cammino spirituale. Perché se noi abbiamo l’illusione di essere già adeguati alla vita - di poter rispondere alle sollecitazioni che ci fa, di avere già le risposte alle domande che ci pone - noi non cambieremo mai: ci fisseremo nelle nostre idee, ci aggrapperemo alla nostra sensibilità, ai nostri criteri, ai nostri punti di vista, ci stabiliremo nella condizione in cui ci troviamo e resisteremo a tutti i cambiamenti. E’ solo quando prenderemo coscienza della nostra inadeguatezza che ci apriremo all’azione di Dio, alla grazia, cioè al suo dono e realizzeremo quel cammino compiuto da Gesù ‘di grazia in grazia’, fino a far risplendere anche sul nostro volto la gloria di Dio.
Questo è il cammino che Gesù ha compiuto, partendo proprio dalla consapevolezza della sua indegnità di fronte a Dio. Più uno è perfetto, cioè più cresce nella perfezione, più ha viva questa consapevolezza, cioè avverte la distanza di Dio, perché avverte l’insufficienza della sua vita e delle sue strutture.
Questa è un’esperienza che facciamo sempre, se avvertiamo le cose che viviamo. La facciamo in noi e anche negli altri. Per dare un esempio: quelli che si confessano una volta ogni due-tre anni, iniziano sempre dicendo che non hanno granché da dire, perché non hanno dei peccati. Ma quando uno vive così, nell’illusione di essere buono, non riconosce il proprio male. Più cresce nella sua sensibilità spirituale, quindi percorre un cammino, più cresce il senso del male della sua vita, dell’inadeguatezza, dell’insufficienza.
Questo avviene in tutti gli ambiti, perché noi cominciamo a vivere illusoriamente e quindi spesso restiamo in questa illusione. Per esempio chi conosce molte cose ha la consapevolezza di non sapere nulla, perché sa la distanza che c’è tra quel poco che sa e il tutto ciò che potrebbe sapere. Così chi fa un po’ di bene è consapevole del nulla che sta facendo, perché sa il bene enorme che potrebbe fare. Chi invece non fa nulla, vive, compie le pratiche ecc. ha l’illusione di essere perfetto, di non aver bisogno di nulla, di essere in grado di fare le cose che la vita gli chiede.
E’ un dato di fatto, questo: se noi riflettiamo credo che scopriamo questa nostra illusione con cui tutti abbiamo cominciato a vivere. Noi tutti abbiamo cominciato a vivere nella falsità, nell’illusione di essere quello che non siamo. Solo perché avvertiamo qualcosa, perché percepiamo la tensione verso il bene, verso la giustizia, questo ci sembra già tutto e crediamo di essere noi giusti, solo perché siamo sollecitati a diventarlo; crediamo di essere noi buoni, solo perché avvertiamo l’esigenza della bontà. Ci sentiamo già figli, solo perché siamo chiamati a diventarlo. Ma noi non siamo ancora quello che dobbiamo essere.
Dobbiamo assimilare questa consapevolezza, viverla quotidianamente, applicandola alle singole situazioni della nostra esistenza: incontriamo una persona, stiamo facendo un lavoro, realizziamo un piccolo progetto, siamo di aiuto agli altri? Ecco, dovremmo accompagnare sempre la nostra attività con questa consapevolezza: non sono proporzionato a ciò che mi è chiesto, sono inadeguato al compito che mi è affidato.
Questo potrebbe condurre a una forma di inattività e di inerzia: “Non sono degno, quindi non faccio nulla”. Sarebbe un sotterfugio della pigrizia, che poi è il risvolto negativo della stessa illusione di essere capaci di fare le cose. Quando ci accorgiamo della nostra inadeguatezza, la prima reazione è proprio quella di dire: “Non faccio nulla”, mentre la reazione che corrisponde alle dinamiche della vita è opposta: “Mi affido così all’azione di Dio, da consentire che il più entri nella mia vita”. Questa è la dinamica della fede in Dio.
Per questo il battesimo di Gesù è l’espressione della sua fede, cioè della certezza che può raggiungere un traguardo che ancora non ha raggiunto, che può assimilare la parola di Dio in modo che finora non ha realizzato. E’ un momento di conversione.
Dobbiamo renderci conto di questo fatto e capire il cammino compiuto da Gesù quando lascia Nazareth, il lavoro, la casa. Ancora i suoi pensavano che fosse una cosa provvisoria, perché molti andavano da Giovanni. Infatti non appaiono resistenze per questa partenza di Gesù (o almeno il Vangelo non le riferisce), mentre appariranno resistenze notevoli quando Gesù inizia la sua attività pubblica. Allora i suoi parenti si raccolgono insieme per andare a prenderlo per portarlo a casa da Cafarnao a Nazareth, perché pensavano che avesse fatto una scelta pazza, che fosse uscito di senno. Mentre la prima uscita di casa non mette in allarme i suoi parenti, perché molti, anche dell’ambiente della Galilea, erano andati da Giovanni per partecipare ad un momento di vita spirituale, per ascoltare il suo messaggio. E sarà appunto da Giovanni che Gesù conoscerà i primi suoi discepoli.
Anche a noi capitano momenti importanti in cui avvertiamo una chiamata ulteriore. Non pensate solamente alle chiamate decisive: sono quelle chiamate a una qualità nuova di vita, a un modo nuovo di impostare la propria esistenza: a un maggiore rigore, alla realizzazione della giustizia, a una maggiore solidarietà. Ci sono lungo il nostro cammino questi momenti decisivi in cui appare una possibilità nuova e una richiesta nuova della vita. Ecco, in questi momenti è importante partire dalla consapevolezza della nostra insufficienza, della nostra inadeguatezza, ma insieme dall’offerta nuova di vita che ci viene rinnovata, perché c’è l’azione di Dio che è più ricca e più forte di noi. Questo esercizio è esercizio di fede, per cui se non c’è fede questi momenti diventano fallimento o tradimento, perché la forza della vita ci viene donata ma occorre assimilarla e interiorizzarla.
Matteo esprime in poche parole l’esperienza di Gesù, dal momento in cui va da Giovanni al momento del battesimo, ma nel Quarto Vangelo si parla di giorni: Gesù ha vissuto abbastanza tempo come discepolo di Giovanni e questi certamente lo ha individuato come un discepolo di una particolare ricchezza interiore: ci sono qua e là i riflessi, anche se le parole che sono riportate nel brano che abbiamo ascoltato amplificano l’esperienza che le prime comunità cristiane hanno fatto quando sono sorte le polemiche sull’incidenza di Giovanni nei confronti di Gesù. Ci sono parecchie espressioni di questo contrasto tra quelli che esaltavano l’importanza di Giovanni e quelli che invece non gli davano alcun valore. C’è la tendenza, da parte di Matteo, di attenuare la decisione di Gesù, come se Giovanni non lo volesse battezzare. Questo poi è avvenuto anche successivamente, anche nelle ricostruzioni che poi sono state fatte della storia precedente, che in realtà non conosciamo con esattezza. Tanto che quando sarà imprigionato Giovanni manderà alcuni suoi discepoli ad interrogare Gesù: “Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettarne un altro?”. Quindi le espressioni che abbiamo letto sono l’eco di sviluppi successivi.
Ma in ogni caso importante per noi è il cammino compiuto da Gesù e la decisione che ha preso di sottomettersi al Battesimo, che era un momento di conversione, l’espressione della volontà di accogliere l’azione di Dio e quindi diventare rivelazione del suo amore, della sua misericordia. L’impegno quindi di compiere una missione.
Qui comincia il lavoro successivo di Gesù, della sua riflessione, della sua preghiera. Infatti appena terminato il battesimo Gesù si raccoglie in preghiera ed è in questo momento che la parola di Dio risuona in lui come una chiamata a compiere una missione, che ancora non è ben chiara, né ben delineata. Però è certamente quello il tempo in cui Gesù decide la sua attività: di non tornare più a casa, di non riprendere il lavoro, di svolgere anche lui un’attività che non era chiara all’inizio, ma che poi pian piano si preciserà attraverso le riflessioni successive e le preghiere. All’inizio della quaresima ricorderemo che Gesù va nel deserto e per lungo tempo sta a pregare e a riflettere, prima di cominciare il suo lavoro.
Questo mette in luce l’esigenza che anche noi abbiamo di riflettere continuamente sulle sollecitazioni della vita per poter rispondere in modo fedele. Non nella perfezione compiuta, ma secondo le esigenze delle dinamiche della vita stessa. Non secondo il nostro passato, non secondo i nostri pregiudizi. La necessità quindi di riconoscere l’azione di Dio in noi, di accoglierla, per poterla esprimere in gesti, in azioni, in decisioni nuove. Non dobbiamo mai considerare conclusa la nostra vita, cioè il cammino della nostra perfezione, perché più avanza, più le esigenze aumentano. Questo vale per tutte le condizioni in cui noi ci veniamo a trovare: più cresce la ricchezza della vita, più le domande si fanno esigenti e le risposte diventano più ampie e quindi anche più difficili.
Qual è il traguardo a cui dobbiamo pervenire in questo cammino? E’ indicato molto bene nella formula che è rivolta a Gesù: “Questo è il figlio mio prediletto in cui mi sono compiaciuto”. Anche noi siamo chiamati a diventare figli prediletti, espressione dell’amore di Dio. Diventare figli non è un’avventura esteriore, cioè qualcosa che avviene al di fuori di noi, il diventare figli è il crescere dal di dentro, di giorno in giorno: “di grazia in grazia”, dice Paolo nel capitolo 4 della II lettera ai Corinti, quando chiama Gesù ‘icona di Dio’. Questo Gesù ha vissuto e anche noi siamo chiamati a compierlo. È qualcosa di decisivo nella nostra vita raggiungere la trasparenza che è verità di vita, per cui ci liberiamo dalle illusioni di essere perfetti, di avere la verità, di compiere il bene; ci liberiamo dalla ambiguità che accompagna gli inizi del nostro cammino, riconosciamo la nostra insufficienza e ci apriamo così alla azione divina.
Allora la luce risplende in noi e diventa offerta di vita per gli altri. Diventiamo icona di Dio. E allora non c’è più la nostra realtà, se non quella del riflesso di Dio. Questa è la nostra grandezza, la dignità della nostra vita: diventare per sempre figli di Dio.
Quando anche solo in certi momenti pregustiamo questo tragitto, cioè avvertiamo questa tensione verso il traguardo, già qualcosa di grande si esprime nella nostra vita, qualcosa di indicibile e percepiamo qualcosa di quello che Gesù ha vissuto quel giorno. Non l’ha potuto dire, non l’ha potuto esprimere. I Vangeli lo descrivono nell’esteriorità: una luce, una voce, una colomba… tutte cose esteriori, ma che cosa ha vissuto Gesù interiormente? Ecco, anche a noi è concesso di sperimentare in certi momenti questa grandezza dell’azione di Dio, ciò che è in azione in noi è molto più ricco di quello che noi siamo e che riusciamo ad esprimere. Ma la grandezza di Dio, la sua azione, è in grado di superare la nostra inadeguatezza e può risplendere in noi in modo pieno.
Questa è la certezza che Gesù ci ha annunciato: anche noi siamo chiamati a diventare figli, per sempre. E di fronte a questo tutto il resto perde significato, o meglio tutto acquista un significato nuovo, perché tutto è ordinato al compimento: non vale più in sé come tale, vale perché ci consente di pervenire al traguardo della nostra identità filiale.

Chiediamo allora oggi al Signore di essere consapevoli delle due condizioni fondamentali della nostra vita: l’indegnità di fronte alla missione che ci è affidata e la sua grandezza, la nostra insufficienza e la elevatezza della chiamata. Siamo chiamati a smascherare la falsità della nostra presunzione, di fronte al traguardo di vita a cui il Signore ci chiama.
Quando riusciamo a coniugare bene insieme queste due componenti della vita spirituale, tutto diventa significativo, perché tutto appare come rivelazione di Dio, espressione della sua chiamata.
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