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14-VIa Domenica del Tempo Ordinario

VIa Domenica del Tempo Ordinario

Mt. 5, 17-37

Compiere la legge


Vorrei mettere in luce la novità che Gesù introduce, come tappa del cammino spirituale dell'umanità. Non è una nuova imposizione morale, perché altrimenti sarebbe legge che si aggiunge a legge, bensì è una qualità nuova di vita che Gesù testimonia personalmente e insegna. È utile per noi individuare la qualità nuova di Gesù perché diventa il criterio per capire le novità emergenti all'interno della storia e che in questa fase siamo sollecitati ad accogliere e a realizzare.

La novità di Gesù.

Allora chiediamoci: 1. qual è la novità che Gesù vive e che insegna? 2. quali sono gli atteggiamenti necessari per continuare l'avventura nella quale siamo inseriti?
Le formule emblematiche che Gesù utilizza sono due.
La prima parla del 'compimento': "Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge e i profeti, ma per dare compimento". La seconda formula dice: "Se la vostra giustizia non è superiore di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno".
Esaminiamole brevemente.
Con la formula 'la legge e i profeti' si indicava tutta la tradizione ebraica: la legge era la Torà (i primi cinque libri dell’Antico Testamaento), i profeti erano alcuni altri libri della Scrittura ebraica. Gesù dice che non ne vuole l’abolizione ma il compimento. Non interpretiamo questa parola semplicemente come 'esecuzione' di una legge quando si compie ciò che essa prescrive. Dare compimento vuol dire cogliere le tensioni profonde che una tradizione porta (o potremmo anche dire: i valori che essa vuole concretizzare) per individuarne le forme nuove. La tradizione infatti è viva, e quindi la legge, ad un certo momento, esaurisce il suo compito: così com'è formulata non è più sufficiente.
Gli antichi avevano l'illusione che si potessero fare delle leggi eterne, che sarebbero rimaste per sempre. Ancora Giustiniano, nel sesto secolo, quando promulgò il codice di diritto romano (che è rimasto poi la legge per tutta l'Europa fino al codice di Napoleone 21 marzo 1804) aveva la presunzione di proclamare una legge eterna. La Costituzione che promulgava il Codice cominciava 'Nel nome della Santissima Trinità', cioè si agganciava alla volontà di Dio come espressione storica perfetta della legge divina.
I giuristi uomini hanno trovato piccoli stratagemmi per venire fuori dalla gabbia in cui la legge era stata fissata e i glossatori hanno inventato delle vie straordinarie: l'ermeneutica è nata da questo lavoro di interpretazione delle leggi, per cui i glossatori giungevano a concludere in opposizione al dettato stesso della legge, quando le esigenze storiche lo imponevano, attraverso un cammino, tortuoso, ma necessario. Le aggiunte ai margini si chiamavano glosse.
Oggi sappiamo che le leggi sono spesso inadeguate rispetto alle situazioni vitali e quindi occorre continuamente riformularle, sia perché la situazione cambia, sia perché la stessa formulazione è spesso inadeguata anche alla situazione che pure vuole orientare e descrivere.
Oggi abbiamo una visione dinamica della realtà, per cui la natura non è fissata una volta per sempre, ma è in processo e le sue esigenze si rinnovano continuamente. In secondo luogo, gli uomini non riescono a tradurre nelle proprie formule tutta la ricchezza della vita, che pure possiedono. La vita è molto più profonda e più grande delle parole con cui noi la diciamo o delle legislazioni con cui noi vogliamo orientarla e dirigerla: la vita deborda continuamente, perché è alimentata da un'azione creatrice che non possiamo chiudere nelle nostre categorie, nei nostri pensieri e nelle nostre leggi.
'Compiere' una legge, perciò, in questa prospettiva vuol dire portarla oltre il suo dettato, per essere fedeli alla sua tensione interna, ai valori che propone, alle esigenze che esprime.
Gesù aveva preso coscienza che era un momento di svolta della vita religiosa, spirituale e sociale del suo popolo e indicava nuovi traguardi.
La seconda formula che Gesù utilizza, per indicare i nuovi traguardi, è ancora più chiara, perché Gesù dice: "Se la vostra giustizia (cioè se la vostra sintonia con l'azione di Dio, o potremmo anche dire: se la vostra osservanza della volontà di Dio) non è superiore di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno (non vivrete la nuova stagione della storia salvifica, resterete indietro rispetto al vostro tempo)".
Quale era la giustizia degli scribi e dei farisei? Era l'osservanza minuziosa della lettera della legge, cioè era considerare la legge come in sé definitiva, assoluta.
In questa prospettiva comprendiamo bene l'esigenza che Gesù avvertiva e a cui ha cercato di rispondere.

Gli atteggiamenti necessari per continuare l’aventura di Gesù.

L'elemento nuovo che Gesù pone al centro del suo interesse e della sua predicazione potremmo descriverlo secondo due versanti: il versante teologale, che riguarda il rapporto con Dio, e il versante antropologico, relativo agli atteggiamenti dell'uomo.
Il versante teologale.
Il versante teologale è molto chiaro: Gesù propone un nuovo rapporto con Dio, come ragione dei comportamenti umani. La legge è solo uno strumento per discernere la volontà di Dio, per cogliere che cosa ci è chiesto. Ciò che vale non è osservare il dettato della legge, ma compiere il volere di Dio. Gesù utilizzava sempre questa formula, l'ha inserita anche nella preghiera insegnata ai discepoli: "La tua volontà si compia".
Se fosse sufficiente la semplice osservanza della legge, per compierla, la legge sarebbe sempre compiuta da parte di coloro che la osservano mentre per Gesù coloro che seguivano la legge non sempre compivano la volontà di Dio, né si mettevano in ascolto della sua Parola.
Questo era l'errore di fondo che Gesù individuava nella religiosità ufficiale del suo tempo: il rapporto con Dio era scaduto a livello di semplice osservanza legale.
Il riferimento a Dio, perciò, è il primo dato essenziale. Non è sufficiente osservare la legge, per compiere la volontà di Dio. O, per dirla con un'altra formula di Gesù, non è sufficiente ascoltare parole di uomini, per ascoltare la Parola di Dio: c'è sempre un 'oltre' a cui dobbiamo aprirci e a cui dobbiamo essere attenti.
Questo è l'invito di Gesù. Era un invito nuovo. Dobbiamo ricordare che per gli ebrei di allora il dettato della legge corrispondeva alla volontà di Dio, la parola scritta era stata detta da Dio. Ci sono ancora questi modelli: il fondamentalismo, anche cristiano, il fondamentalismo ebraico, il fondamentalismo mussulmano ancora di più, oggi, identificano la volontà di Dio con il dettato della legge, con le parole umane scritte. E questo conduce a scelte violente, oppressive: tante guerre, sono sorte da questa identificazione.
Oggi il fondamentalismo è minoranza, ma la tentazione ritorna sempre, perché il passaggio alla libertà che Gesù sollecitava introduce irrequietezza e paura, la paura dell'ignoto: qual è allora la parola che non riusciamo ad ascoltare? cosa ci dirà domani?
Quando invece possiamo dire: "E' già lì, la conosco già tutta, non ci possono essere sorprese", questo dà quella sicurezza che ci impedisce di percorrere il cammino della storia, perché ci abbarbica al passato. Questo è un male che conosciamo bene e che forse caratterizza molte persone nella nostra Chiesa, che si oppongono alle scelte di papa Francesco e che sono rimasti ancorati all'educazione del tutto già detto e già fatto.
Questo è il primo aspetto, che richiede, per essere vissuto, un abbandono fiducioso in Dio. Che non è più un affidarsi alle parole e allo scritto o alla struttura, è affidarsi all'azione di Dio in noi, è il vivere la fede.
Gesù chiedeva di cominciare a mettere Dio al centro, nel compimento del suo volere accolto ogni giorno, riconosciuto attraverso la preghiera, la meditazione, la riflessione, l'ascolto della sua Parola.
Il versante antropologico.
Il secondo risvolto, quello che possiamo definire antropologico, perché si riferisce all'atteggiamento dell'uomo, è il passaggio dall'esteriorità all'interiorità. Esso consiste nel transito dai semplici gesti alle loro ragioni, dalle semplici parole ai loro significati inediti, quelli che emergono per l'azione dello Spirito in noi. L'uomo cambia crescendo, se sviluppa la vita teologale, cioè se si abbandona fiduciosamente all'azione di Dio in lui, giunge a qualità nuove di vita, a nuovi modi di pensare, ad atteggiamenti interiori inediti, cioè ad una forma nuova di 'giustizia' e di fedeltà alla vita, non più legata a semplici prescrizioni. Non perché queste non siano significative, ma perché non sono sufficienti, dato che la vita richiede di più. Non si tratta quindi di sbarazzarsi di ogni indicazione o di ogni regola, ma di coglierne le esigenze profonde. Paolo diceva, nella lettera ai Galati (5, 13): "Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri".
Il lasciarsi guidare dallo Spirito conduce a libertà, perché conduce alla vita piena, ad una fedeltà. Dobbiamo sempre ricordare che si tratta del cammino spirituale dell'umanità. Non è solo il cammino religioso, è il cammino spirituale. È comprensibile quindi che ci siano ancora inadeguatezze come d'altra parte nel cammino personale di ciascuno di noi: cominciamo dall'esteriorità, dall'osservanza delle prescrizioni, e solo più avanti, nella maturità, facciamo un passo ulteriore. Il passaggio dall'esteriorità all'interiorità è necessario. Potremmo anche dire: il passaggio dalla fase psichica della nostra esistenza alla fase spirituale; o, per usare una terminologia più cristiana, alla fase teologale. Come Gesù, anche ciascuno di noi deve giungere un giorno dalla fase psichica dell'esistenza, in cui cioè prevalgono i nostri pensieri, i nostri stati d'animo, i nostri istinti, a una fase teologale, spirituale, in cui cioè il criterio è l'azione di Dio in noi.
Questo cammino conduce ad un atteggiamento completamente nuovo. Ora, è facile che molti di noi siano rimasti ancora alla fase psichica della loro esistenza e che, come gli scribi e i farisei, osserviamo le leggi, andiamo a pregare in chiesa, seguiamo le regole morali... ma tutto finisce lì. Dio non rappresenta nulla nella nostra giornata, l'ascolto della sua Parola non avviene mai, perché crediamo di sapere già quello che dobbiamo fare. Il compimento della volontà di Dio si riduce solo all'osservanza della legge, non c'è l’accoglienza dell'inedito che lo Spirito suggerisce e introduce in chi si pone in ascolto.
Questa è l'urgenza che Gesù allora individuava e che oggi, dopo duemila anni, è diventata ancora più esigente. Per questo siamo spesso in ritardo rispetto al tempo e non siamo in grado di rispondere con fedeltà alle esigenze di giustizia, di condivisione dei beni, a quella riforma che tutti riconosciamo necessaria, ma che in realtà pochi si impegnano a realizzare.
Chiediamo al Signore la luce interiore per discernere bene il nostro tempo e aiutiamoci a vicenda a indicare i traguardi possibili di questo cammino, perché la nostra giustizia non sia come quella degli scribi e dei farisei del tempo di Gesù.
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