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16-VIII Domenica del Tempo Ordinario

VIII Domenica del Tempo Ordinario
Mt.6, 24-34
Nessuno può servire due padroni

Il Vangelo odierno presenta un insegnamento fondamentale di Gesù. Vogliamo capire bene la sua portata e cosa richiede da noi.
Veniamo al mondo incompiuti e quindi incapaci di vivere. Ci aggrappiamo agli altri e dobbiamo necessariamente desiderare che i nostri bisogni siano pienamente soddisfatti. Ma questo atteggiamento non può restare per sempre, deve, ad un certo momento, cambiare. La necessità della conversione alla quale siamo chiamati, deriva precisamente da questa urgenza: non possiamo restare con gli atteggiamenti che la vita inizialmente c’impone, dobbiamo acquisirne di nuovi. Qui si inserisce la proposta di Gesù: “non preoccupatevi della vostra vita.. Il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno” (Mt 6,25,32).
Ecco il ‘nuovo’ che Gesù suggerisce. Vediamone le ragioni. Vorrei cercare di esprimerlo, anche se è difficile, perché tutte le cose della vita non possono essere spiegate a parole, ma solamente vissute ed eventualmente indotte con vicinanza amorevole.
Vediamo prima di tutto l’equivoco di fondo nel quale possiamo cadere nel vivere questo insegnamento di Gesù.
L’equivoco di fondo consiste nell’interpretare queste parole come se Dio potesse sostituirsi alla nostra azione, cioè come se la provvidenza di Dio consistesse nel modificare le situazioni intervenendo al nostro posto, sostituendosi al nostro agire o completandolo. Questo modo di interpretare è sbagliato, perché non corrisponde all'azione tipica di Dio che è sempre creatrice: Dio non si sostituisce alle creature umane ma le costituisce viventi. Per cui fidarsi di Dio non significa pensare che Dio possa operare quello che noi non riusciamo a fare, ma essere certi della sua fedeltà nel continuare la sua azione creatrice. Abbandonarsi interamente a Dio non significa pensare che i nostri progetti o i nostri desideri possano essere attuati, bensì che l’azione creatrice di Dio ci alimenta continuamente. La nostra è una condizione di creature, il che significa che noi non siamo il principio o la ragione di quello che siamo, ma che un Creatore ci alimenta, una forza ci attraversa, per cui possiamo portare pienamente tutte le situazioni della nostra esistenza.
Questo è il doppio versante dell'atteggiamento che Gesù ci propone. Il primo riguarda noi stessi: non siamo il principio della vita, non sono i nostri progetti il criterio assoluto della nostra esistenza. Se così fosse resteremmo ancora schiavi – o dei soldi o della carriera o dei beni-, non saremmo ancora diventati figli e quindi liberi. Possiamo riassumere dicendo che la vita è più grande di noi ed ha progetti più ampi dei nostri piccoli desideri. Il primo impegno quindi è liberarci dalla schiavitù: non possiamo avere due padroni.
Il secondo aspetto è l’esigenza di creare lo spazio a ciò che ancora non siamo, ma che è: al Bene che è Dio, alla Vita che vuol entrare nella nostra piccola esistenza. Dobbiamo imparare a lasciare uno spazio interiore, riconoscere la necessità di accoglienza del Bene che non siamo. Infatti potremmo giungere alla certezza di non essere noi il fondamento della vita, ma potremmo cadere in una forma di pessimismo e di passività: se non sono nulla, se non posso determinare la vita, allora lascio fare, non mi interesso, non mi lascio coinvolgere. Questa non sarebbe la pienezza della vita, ma la sua negazione.
C'è certamente un aspetto dell'insegnamento evangelico che può sembrare di passività; ma è solo apparente, perché in realtà sollecita un'accoglienza che rende pienamente attivi. Non è quindi un rassegnarsi al destino, è un aprirsi alla vita che è azione intensa, è adeguamento completo. Solo che non ha come criterio ciò che noi decidiamo, ma ha come criterio la fedeltà alla vita che viene, al dono che ci viene fatto.
Questo è il punto più difficile ma più essenziale a qualsiasi vita spirituale. Si potrebbe dire ancora di più: questa è la condizione assoluta per ogni gioia di vita. Non parlo della gioia che viene dalle cose, parlo della gioia che viene da quel senso di pienezza, di serenità, di pace che ci investe quando ci si apre alla vita e si realizza la fedeltà a ciò che viene, a ciò che ci è donato.
Credo che questo atteggiamento sia sufficientemente chiaro, almeno come esigenza; ma si arriva a capirlo veramente solo man mano che ci si entra.
Ma adesso cerchiamo di individuare le ragioni e le modalità con cui vivere questo atteggiamento.
La prima condizione fondamentale è l'esercizio: ogni giorno, in piccole situazioni, ci si può esercitare e pian piano, con un esercizio diuturno, arriva il momento in cui tutto diventa facile. Questo del resto vale per tutti gli aspetti della vita: qualsiasi arte all'inizio sembra difficile e non impossibile, ma pian piano, esercitandosi continuamente, diventa naturale, struttura della nostra esistenza. Non è un’altra realtà, siamo noi che viviamo; o meglio, è la vita che in noi riesce finalmente ad esprimersi.
La ragione è molto semplice: l'amore di Dio ci precede, la vita è prima di noi ed è solida, non è precaria e contingente come siamo noi. Il salmo che prima abbiamo ascoltato parlava di una roccia. Ora, la solidità che scopriamo al fondo della nostra vita è la ragione della nostra sicurezza; non sono più i nostri progetti, che appaiono inadeguati; non sono più i soldi che abbiamo, che possono svanire; non sono più i beni che possediamo o le cose che conosciamo: è qualcosa che è prima, che è più grande, che nessuno ci può sottrarre.
Quando si giunge a questa scoperta si capisce quello che Gesù diceva, cioè che ci si può abbandonare a Dio in modo tale da vivere serenamente tutte le situazioni, anche quelle contrarie ai nostri progetti. Ma si può dire di più: da vivere in modo positivo anche quelle situazioni contrarie al volere di Dio, cioè gli eventi ingiusti e negativi.
Vivere richiede la capacità di portare il male della storia. Oggi viviamo situazioni che condensano l'odio e l'aggressività esercitati in passato da intere generazioni. Non possiamo scrollarci di dosso i secoli che ci hanno preceduto, perché attraverso di essi la vita ci è pervenuta, anche se limitata e segnata dal male. Accettare la vita significa saper portare anche le sue insufficienze, ma con la certezza che la Vita è più grande, che il Bene esiste in forma piena, che Dio è già presente e quindi nessuno ci può impedire di continuare questa avventura, di aggrapparci alla vita e di consegnarla poi alle generazioni che verranno.
La consapevolezza della solidità della vita è la condizione fondamentale per vivere intensamente. Di fronte a tutte le notizie che possiamo apprendere, alle esperienze di ingiustizia, di tradimento, di violenza che possiamo fare, non c'è ragione sufficiente di rinunciare a vivere. Non ci rassegniamo passivamente, non diciamo: “non c'è nulla da fare”. No, no. Diciamo: il bene da realizzare è così grande che c'è sempre molto da fare. Possiamo aprirci a tante ricchezze di bene che può assumere forme nuove di solidarietà e di amicizia. Non possiamo dire: “non devo fare nulla perché la vita fa tutto”. No, la vita non fa nulla se noi non ci apriamo, se non consentiamo alla vita di fare molte cose e al Bene di esprimersi attraverso di noi. Allora possiamo continuare la storia anche quando scopriamo l’insufficienza di tutto ciò che ci sta attorno.
La vita finora è andata avanti perché ci sono stati gruppi di persone che hanno vissuto in questo modo. Non sono stati quelli che usavano le armi a condurre avanti la storia, anzi, loro l'hanno fermata, dissipata e anche distrutta. Non sono stati quelli che hanno odiato, che hanno prevaricato sugli altri, a condurre avanti la storia, ma quelli che nel silenzio hanno continuato a fidarsi così del bene da inventare forme nuove di perdono, di misericordia e di amore.
Questo è il segreto che Gesù ha vissuto e ha comunicato. È lo stesso segreto che altri nel mondo hanno scoperto e hanno trasmesso, anche se in forme diverse. Possiamo scoprirlo anche noi, un giorno. Non è possibile trasmettere con semplici parole umane il segreto della vita e della gioia: occorre scoprirlo vivendo. Abbiamo però delle indicazioni, dei testimoni. E soprattutto abbiamo la certezza che è anche a portata nostra e che possiamo anche noi, un giorno, vivere in modo così intenso da pervenire a quella pace profonda, a quella gioia che nasce dalla fedeltà alla Vita che è Dio.
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